L'apporto di sacrificio e di lacrime di Viterbo e dei viterbesi alla II Guerra Mondiale fu limitato, fino al 1943 e all'occupazione tedesca, alla partecipazione dei singoli giovani in età di leva alle vicende belliche dei vari fronti in Europa ed in Africa.
L'apporto di sacrificio e di lacrime di Viterbo e dei viterbesi alla II Guerra Mondiale fu limitato, fino al 1943 e all'occupazione tedesca, alla partecipazione dei singoli giovani in età di leva alle vicende belliche dei vari fronti in Europa ed in Africa.
Fu infatti solo successivamente che i bombardamenti e le numerose incursioni aeree sulla città causarono danni proporzionalmente ben più gravi di qualsiasi altra località posta a sud della linea Gotica.
Fino ad allora infatti l'unico "inconveniente" di carattere sociale era rappresentato dalla fisiologica ripercussione economica della guerra, con lo squilibrio nel commercio e di conseguenza anche nelle altre attività e categorie, provocata dalle restrizioni dei consumi.
Superata velocemente la fase degli entusiasmi per la “Guerra-Lampo” di Hitler e al di là della propaganda di regime che condannava il disfattismo, l'opposizione politica dei viterbesi al fascismo, presente già sin dal 1921 e via via attenuatasi durante il Ventennio per riprendere fiato dopo l'emanazione delle leggi razziali del '38, faceva nuovamente capolino nel pensiero della gente con il dilungarsi della guerra.
Nella nostra città le massime misure adottate contro gli ebrei erano state l'allontanamento dai pubblici uffici e il ritiro della tessera del Fascio, fino al dicembre 1943, allorquando, su disposizione centrale, si procedette all'arresto e alla confisca dei beni di tutti gli ebrei residenti in Provincia. Per fortuna molti si erano già resi irreperibili e così nella primavera successiva solamente 26 persone di fede giudaica erano detenute nel carcere di Gradi: di questi 11 vennero deportati nei campi di concentramento nazisti per non tornare mai più. La difficoltà degli approvvigionamenti per la scarsità ed il prezzo elevato delle merci, unite alle sconfitte dell'Asse ed in particolare quelle italiane in Africa, da dove non giungevano notizie dei militari prigionieri, aumentarono la delusione e la sfiducia della gente; accanto alle associazioni ed organizzazioni riconosciute da Mussolini si sparsero anche a Viterbo più o meno clandestinamente altri raggruppamenti di ispirazione antifascista che successivamente avrebbero costituito il nucleo di riorganizzazione politica della città.
Intanto la speranza verosimile di una vittoria si era allontanata sempre più e, anzi, il popolo italiano si doveva abituare a considerare la guerra all'interno dei propri confini.
Gli inglesi si erano fatti più audaci e spesso organizzavano incursioni aeree con lanci di volantini, confetti e altri oggetti che le autorità preavvisavano fossero velenosi e dinamitardi.
Iniziò così il periodo della mobilitazione civile; si emanavano istruzioni per il riconoscimento degli apparecchi [doc. 6] e per la difesa antiaerea e si costituivano squadre ausiliarie addette ad ogni emergenza successiva ai temuti attacchi nemici.
A Viterbo un bando del Podestà obbligava tutti i proprietari di edifici a munirsi di adeguata scorta di pozzolana per spegnere gli incendi causati dagli ordigni e il controllo e l'allestimento di rifugi e ricoveri antiaerei ebbe un rinnovato impulso.
Le quattro sirene poste alla Ceramica, in Via Orologio Vecchio, a San Pellegrino ed in Piazza della Rocca, lanciarono durante tutto il periodo bellico per 780 volte il loro acuto allarme ai viterbesi e di questi ben 700 furono concentrati nel ristretto spazio di dieci mesi che va dal luglio 1943 al maggio 1944.
ll 24 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo mise in minoranza Mussolini e il giorno successivo il Re, dopo aver convocato il Duce al Quirinale, lo fece arrestare, conferendo l'incarico di Capo del Governo al maresciallo Badoglio, con unanime consenso della popolazione viterbese.
Il battesimo del fuoco, con numerose vittime tra i militari, italiani e tedeschi, avvenne il 29 luglio 1943 con il primo bombardamento inglese sull'aeroporto, mentre la prima incursione aerea sulla città avvenne nella notte tra il 15 e il 16 agosto; quella notte lo scontro fu pauroso: i piloti della RAF non potevano sapere che a Viterbo era occasionalmente di passaggio la divisione Hermann Goering impegnata nell'Operazione Alarico e quando la squadriglia di apparecchi "Wellington" giunse a sorvolare il cielo della Tuscia, oltre alla "normale" batteria contraerea trovò il terrificante sbarramento della FLAK (Flieger Abwehr Kanonen), l'artiglieria contraerea tedesca.
Al di là del fragore assordante dei cannoni lo scontro risultò poi praticamente incruento e solo due bombe caddero sulla città senza causare gravi danni; non altrettanto accadde nelle successive incursioni.
L'8 settembre venne resa nota la firma già avvenuta dell'armistizio con le forze alleate mentre la Nazione, impreparata, vedeva la presenza numerosa di forze armate tedesche sul territorio che entro 24 ore occuparono tutta la nostra provincia.
Il 13 settembre, per la fuga del Re e di Badoglio e lo sbandamento dei militari italiani, le forze di occupazione germaniche assunsero, oltreché di fatto, anche di diritto il potere esecutivo del1'Italia centro-settentrionale.
L'abbandono delle caserme da parte dei Carabinieri, rimasti fedeli al Re, e l'istituzione della “Guardia Civica” determinò un calo di controllo sull'ordine pubblico con effetto immediato del mancato rispetto delle norme sui consumi e gran diffusione del fenomeno della borsa nera.
Intanto la presunzione di invincibilità del III Reich era stata duramente incrinata dal mutare delle situazioni sui vari fronti europei e l'esercito tedesco dovette intensificare l'attenzione per le operazioni militari di opposizione all'avanzata degli americani; i soldati addetti a compiti non strettamente bellici furono riutilizzati per l'azione di difesa del territorio e serviva manodopera per le mille necessità che si presentavano nelle retrovie. In realtà già era stato decretato un reclutamento volontario, a pagamento, di lavoratori civili per la Germania ma, per questi motivi, dopo l'8 settembre venne emanato un bando con cui si ordinava agli uomini abili delle classi dal 1921 al 1925 di presentarsi al comando tedesco per essere impiegati in compiti di manovalanza.
Un po' per l'incertezza della situazione, un po' per il timore di essere portati in Germania, risposero in pochissimi alla chiamata così che il Prefetto di Viterbo il 27 settembre lanciò un appello alla popolazione per evitare azioni di ritorsione in città.
Anche questo secondo provvedimento rimase inascoltato; pochi altri si presentarono, come pure sporadici - più per paura che per vera convinzione - furono gli arruolamenti militari e iniziò cosi il periodo buio dei rastrellamenti.
Nell'ottobre del 1943 il Capo della Polizia, Tamburini, emanò una circolare riservatissima che suggeriva l'arresto di civili per costituire ostaggi al fine di impedire una "guerra civile”. Non tutti erano d'accordo su questa linea di condotta e alla citata circolare rispose il Procuratore di Stato Baumgartner sostenendo che la cattura di ostaggi era in aperto contrasto "con i principi di umanità della nostra tradizione giuridica”.
A nulla valse però questa ferma opposizione poiché il 3 novembre 1943 lo stesso Tamburini diffuse un'altra circolare che stabiliva che gli ostaggi dovevano essere trattati nel miglior modo possibile e per garantirne la sicurezza andavano trasferiti lontano dal fronte, oltre la linea del Po... Veniva pure indicato il luogo di destinazione per ogni provincia e gli ostaggi viterbesi, insieme a quelli di Frosinone, furono tradotti a Brescia.
Nella sostanza i rapporti fra viterbesi e tedeschi furono tuttavia corretti, turbati soltanto da diversi episodi di sabotaggio alle linee telefoniche che provocarono la precettazione dei cittadini per la guardia continuativa delle linee stesse e così le rappresaglie previste per la protezione delle Forze Armate Tedesche non ebbero fortunatamente luogo nella città.
La maggior parte della gente contravveniva alle disposizioni repubblichine limitandosi all'ascolto clandestino delle trasmissioni radiofoniche della propaganda inglese, che riusciva ad inserirsi sulle lunghezze d'onda dell'EIAR; oltre la pratica diffusa dell'ascolto di Radio Londra [doc. 17] ci fu però anche chi, come Sauro Sorbini, stampava in clandestinità già dal 1940 volantini e manifesti di propaganda a firma del gruppo "Italia Indipendente”, incitando i viterbesi alla diserzione e alla rivolta contro gli invasori.
Con il passare del tempo la speranza dell'arrivo degli americani si faceva intanto sempre più consistente e con essa conviveva il timore di futuri attacchi dal cielo: in città vigeva da tempo l'oscuramento e prima o poi qualcosa sarebbe dovuto accadere. La notte del 17 gennaio 1944, collateralmente alle operazioni di supporto dell'imminente sbarco americano a Nettuno, gli Alleati attaccarono la stazione di Porta Fiorentina e le bombe cadute in tutta la zona circostante causarono dolori e lutti tra la gente.
Seguirono altri bombardamenti via via più diradati con il migliorare della situazione sul fronte a sud di Roma, fino ad arrivare all'ultima fase delle incursioni aeree su Viterbo.
Il 26 maggio 1944 rappresentò infatti il giorno "più lungo” e triste di tutta la storia della nostra città: 4 successive incursioni di grande portata seminarono l'incubo e l'angoscia tra i viterbesi, con centinaia di vittime e un'infinità di edifici distrutti e rasi al suolo.
I giorni successivi furono altrettanto angosciosi per tutti; il protrarsi degli attacchi, la mancanza di una casa, il dolore per i morti, la paura delle rappresaglie e reazioni dei tedeschi ormai in ritirata ed anche il timore, non del tutto infondato, di nuove violenze da parte degli Alleati, agitavano la pace degli abitanti di Viterbo.
Il nove giugno, finalmente, insieme alla cioccolata e alla ritrovata tranquillità, i primi soldati americani misero piede nella città: da una camionetta arrivata fino a Piazza del Comune scesero l'inglese John Kane e l'italo-americano Antony Lancione che entrando in Prefettura assunsero il comando della provincia in nome del Governo Militare Alleato.
Il 10 giugno il CLN di Viterbo si riunì nello stesso palazzo della Prefettura e, d'accordo con il nuovo Comando Militare assunse di fatto i poteri sulla città occupandosi anche del problema degli approvvigionamenti. Le difficoltà che si presentavano in una città semidistrutta erano molteplici, dall'esigenza di riesumare le salme seppellite ancora dalle macerie al bisogno di tornare a vivere senza paura e inoltre bisognava impedire lo sviluppo della pratica del saccheggio e dello sciacallaggio.
Si formavano squadre di operai per lo sgombero delle macerie e si cominciò a pensare ad una nuova organizzazione della società, peraltro già indicata dagli Alleati sin dai primi momenti dello sbarco in Italia.
A fine mese non c'era più un tedesco in tutta la Tuscia e grazie al governatore americano, col. Bonham-Carter, anche le altrettanto e forse più temibili forze d'invasione africane, marocchini e senegalesi, erano state allontanate dalle nostre zone.
Fino al 27 giugno funse da Prefetto il col. Nicola Taibell, sostituito poi da Socrate Forni; Luigi Crispigni fu invece nominato Commissario Prefettizio al Comune di Viterbo.
Il 9 settembre si costituì la prima Giunta Municipale, composta di rappresentanti di tutti i partiti esistenti in provincia, autonoma e indipendente ma ancora sotto l'egida della Commissione Alleata di Controllo, fino a quando, ancora circolanti liberamente le banconote stampate dagli americani, le famose AM Lire, le autorità militari alleate non restituirono, il 16 ottobre 1944, il potere ed il controllo precedentemente assunto agli organi dell'Amministrazione Italiana.
La guerra non era ancora finita: i danni stimati dei bombardamenti ammontavano secondo il Genio Civile a circa 500 milioni di lire dell'epoca, centinaia di persone erano perite sotto i bombardamenti e altri giovani viterbesi sarebbero andati a morire sul fronte di Firenze al fianco degli Alleati, ma in città cominciava l'opera di ricostruzione.
Angelo Allegrini
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