L’emigrazione, fenomeno sociale quantitativamente molto rilevante per il nostro Paese per un secolo circa, è il tema scelto per l’allestimento di questa mostra permanente: è un tema attuale ma che ha profonde radici nel passato, ha interessato gli italiani dell’800 ed è presente ancora oggi e riguarda tutte le sfere della vita dell’uomo, dagli aspetti più freddi a quelli più coinvolgenti: il fenomeno dell’emigrazione è appunto tutto questo.
Durante l’ ‘‘800 l’emigrazione verso i paesi al di là dell’Atlantico fu un fenomeno ampiamente diffuso in tutta Europa e andò ulteriormente intensificandosi nella seconda metà del’800 : a ciò contribuirono sia la crisi che colpì l’economia mondiale sia il continuo aumento demografico che nel giro di circa 50 anni fece crescere la popolazione europea di 150 milioni di abitanti.
L’emigrazione italiana conobbe due momenti distinti: una prima ondata proveniente soprattutto dall’Italia Settentrionale e diretta per lo più verso il sud America; una seconda che, partendo dall’Italia del sud, si diresse verso l’America settentrionale.
La meta più ambita degli emigranti rimanevano gli Stati Uniti che stavano attraversando un periodo di grande sviluppo, richiedevano grandi quantità di manodopera per le proprie industrie o alla costruzione di ferrovie, raramente trovavano lavoro in agricoltura e tanto meno potevano mettersi in proprio come contadini indipendenti. In Argentina ed in Brasile, invece, gli emigrati italiani riuscivano spesso ad inserirsi in agricoltura, in alcuni casi arrivando a creare aziende indipendenti, di cui diventavano i proprietari.
La gran massa degli immigrati fu comunque costretta a svolgere i lavori più umili, con retribuzioni ed un tenore di vita che rimasero sempre assai bassi. D’altro canto il sogno più grande degli italiani non era tanto arricchirsi all’estero, quanto guadagnare il necessario per sopravvivere, inviando i propri risparmi in Patria dove speravano di poter condurre in futuro una via più agiata.
La decisione di partire veniva spesso presa su richiamo dall’estero di parenti o amici e trovava conforto anche nelle “guide per gli emigranti”, molto spesso prodotte dai paesi che volevano attrarre manodopera dall’Europa. Esse mostravano immagini da paradiso terrestre: sconfinate pianure dall’esuberante vegetazione, case linde, ordinati quartieri cittadini.
Questi sogni su carta venivano esibiti con spregiudicatezza dalle agenzie di viaggio e dagli agenti delle compagnie di navigazione per convincere gli indecisi a partire. Gli agenti erano talvolta veri e propri emissari di società o governi esteri. Tipico il caso del Brasile che,negli ultimi decenni dell’ottocento, incrementò l’immigrazione dall’Europa offrendo il viaggio gratuito dal porto di partenza sino alla destinazione finale nelle fazendas, nelle quali sarebbe stato concesso a ciascuna famiglia emigrata anche un lotto di terreno coltivabile in proprio.
La procedura per l’espatrio prevedeva la richiesta e la successiva concessione del passaporto. Sul passaporto dell’uomo con la famiglia al seguito potevano essere iscritti la moglie e i figli e anche gli ascendenti conviventi. Per gli iscritti alla leva serviva anche il nulla osta delle autorità militari.
La prima regolamentazione dell’emigrazione si è avuta con la legge n. 5866 del 30/12/1888 che tentò di eliminare lo sfruttamento degli emigranti, sia da parte degli incettatori di manodopera, che da parte dei vettori e perciò alcune condizioni di trasporto marittimo degli emigranti. Tuttavia tale legge risultò inadeguata ad assicurare una effettiva tutela dell’emigrazione, poiché considerava solo l’aspetto privato e personale di questo fenomeno, visto come una somma di attività individuali che gli organi di polizia dovevano controllare per reprimere eventuali illeciti.
La legge n. 23 del 31 gennaio 1901 disciplinò l’emigrazione su nuove basi che regolava l’esodo in modo più organico e cercava di tutelare l’emigrante non solo al momento dell’imbarco ma anche durante l viaggio e nei luoghi di destinazione. Punto centrale della legge era la creazione di un unico ente di controllo, il Commissariato Generale per l'Emigrazione, che dipendeva direttamente dal Ministero degli Affari Esteri, con il quale tutti i Prefetti, Sottoprefetti e Sindaci del Regno dovevano corrispondere, fornendo tutte le informazioni necessarie negli interessi degli stessi emigranti. Venivano, inoltre, aboliti gli Agenti delle Compagnie di navigazione, sostituiti con i Rappresentanti dei Vettori, carica alla quale si accedeva solo richiedendo ogni anno al Commissario una “patente di vettore”. Fondamentale in questo testo legislativo era la tutela dell'emigrante: a questo scopo veniva istituita nei porti di imbarco di Palermo, Napoli e Genova, una Commissione Ispettiva che aveva il compito di verificare che le navi impiegate fossero in possesso di tutti i requisiti previsti dalle normative sanitarie. Una volta imbarcati, c'era l'obbligo di avere a bordo dei Commissari viaggianti e dei medici militari che dovevano verificare che le disposizioni della legge fossero rispettate e che gli spazi a disposizione dei migranti fossero adeguati al viaggio. Ma l'emigrante non era tutelato solo alla partenza e durante il viaggio: anche una volta sbarcato a terra continuava ad essere in qualche modo aiutato dal Paese d'origine. Grazie a questa normativa, infatti, vennero creati nei principali Paesi oggetto di flussi migratori dall'Italia – nonostante le forti difficoltà – dei patronati ed enti di tutela che fornivano assistenza legale e sanitaria a chi ne avesse necessità. Questa legge ha la sua importanza nell'essere la prima normativa italiana che tutela chi lascia l'Italia: anche qualora vi fossero delle controversie con il vettore di emigrazione, chi partiva era tutelato grazie alla creazione di Commissioni arbitrali provinciali che intervenivano dirimendo la questione legale.
La legge 23 del 31 gennaio 1901 venne successivamente integrata in due occasioni: con la legge del 2 agosto 1913 e con il decreto luogotenenziale del 29 agosto 1918 che andavano ad incidere proprio sulle Commissioni arbitrali, dando agli ispettori d'emigrazione la facoltà di intervenire direttamente su alcune controversie e che inasprivano le penali per le società di navigazione e i loro agenti, qualora contravvenissero a quanto disposto dalla legge del 1901.
Un ulteriore miglioramento si ebbe nel 1919, quando venne riorganizzata tutta la normativa in materia di emigrazione: in questo passaggio vennero dati maggiori poteri al Commissariato per l'emigrazione che poteva intervenire direttamente nei Paesi stranieri. Veniva inoltre sancita la libertà di espatrio per motivi di lavoro, ma era comunque prevista la possibilità di vietare – anche se solo per periodi limitati – l'emigrazione verso quei Paesi che non offrissero margini di sicurezza adeguati agli standard fissati dalla legge.
Con l'ascesa del fascismo al potere, le cose cambiarono: venne perfino abolito il termine 'migrante' per sostituirlo con 'lavoratore italiano all'estero' e l'emigrazione venne sfruttata sia a fini propagandistici, sia per promuovere la politica estera del Paese. Nel 1927, proprio in quest'ottica, con il decreto legge del 26 aprile, venne abolito il Commissariato per l'Emigrazione, che venne di fatto retrocessa a Direzione generale del Ministero degli Affari Esteri.
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